L'INCONTRO CON LA COMUNITÀ Q'ERO IN PERÙ
INTERVISTA AD ANNA
RITA BOCCAFOGLI
Anna Rita, il libro parla del tuo viaggio in Perù alla scoperta dei Q’ero, gli ultimi discendenti degli Inka. Come è stato possibile avvicinarsi a questo popolo?
Quali
sono state le tue prime sensazioni ed emozioni?
Ho avuto accesso alla comunità di Q’ero grazie
alla mediazione di Don Américo Yabar, che ci ha preparato a comprendere i
princìpi della cultura Q’ero e della tradizione andina,
attraverso pratiche di meditazione e contatto con le diverse dimensioni
dell’energia naturale, parlandoci a lungo e portandoci in luoghi
particolarmente significativi per la tradizione e per la loro qualità
‘energetica’. Infine ci ha accompagnati ad alcuni dei più elevati villaggi Q’ero,
per incontrare diversi maestri e partecipare a varie cerimonie rituali.
Raggiungere il villaggio è stata di per sé una prova: per la fatica fisica,
il lungo cammino, l’altitudine, il percorso impervio e pericoloso lungo gli
scoscesi sentieri andini. Grande è stata per me l’emozione dello spaesamento,
con la possibilità di dar vita a nuovi aspetti dell’identità: l’attesa per la
scoperta di qualcosa di nuovo, di inesplorato, che si rivela; il restare
‘s-velati’, senza difese, denudati al cospetto di qualcosa che si percepisce
molto più grande, e vive in una dimensione oltre l’umano. Con loro sono
entrata in una comunione di anime, oltre le loro parole che allora erano per
me suoni affascinanti di una musica misteriosa.
Come vi siete attrezzati per sopravvivere a 5.000
metri di altitudine?
Ci siamo accostati alla comunità nel modo più simile al loro modo di vivere. Noi certamente avevamo giacche a vento e calzature, ma abbiamo vissuto nella capanna che ci hanno offerto, come giaciglio le pelli di alpaca, dormendo a terra nei sacchi a pelo. Molte delle provviste portate sono servite come offerta nello scambio reciproco che è uno dei massimi valori della comunità. Ci siamo nutriti in modo frugale, con gli stessi cibi che essi consumano in quelle alte zone della regione. Le foglie di coca sono state necessarie per sostenerci, soprattutto contro i fastidi dell’altitudine. Come precauzione, abbiamo bevuto solo acqua bollita, e per la nostra igiene personale c’era il ruscello! È indubbio, però, che la migliore ‘attrezzatura’ è stata la forza d’animo che abbiamo sempre alimentato per sostenere ogni componente del gruppo nella ‘bolla’ energetica che insieme formavamo.
Il libro è composto da racconto e diario personale:
le parti che riguardano le tue riflessioni e visioni sono state condivise
anche dagli altri compagni di viaggio?
In parte. Nello scambio con i vari compagni vi sono
state molte riflessioni comuni, condivise, ma l’esperienza personale,
soggettiva, di ognuno, poteva essere anche molto differente, poiché spesso
rifletteva la particolare condizione interiore della persona, in quel momento
della sua vita. Il contatto con le energie naturali, la contemplazione, la
partecipazione alle cerimonie rituali, risvegliano contenuti psichici ed
emotivi che si esprimono attraverso repertori simbolici sia culturalmente
comuni che specificamente personali. Magari si tratta di rappresentazioni
personali di motivi comuni. Mi sembra vi sia maggiore concordanza nel
‘sentire’ quando le esperienze sono più chiaramente orientate e quindi ci si
‘dispone’ secondo uno scopo definito.
Come spieghi la compartecipazione con gli elementi
della natura?
Siamo parte di questo mondo, il mondo naturale:
anche noi siamo natura, costituiti della stessa sostanza del mondo. La compartecipazione
risulta dalla sintonia e dalla risonanza che riusciamo ad avere con le
frequenze con cui vibra la vita quando si condensa in forma di terra, acqua,
aria, fuoco, animale, pianeta, persona, infinito. La natura è presente in me
come elemento ‘materiale’, la materia che è ‘mater’ e forma il mio corpo, ma
anche come universo di simboli, con cui parla alla mia mente e al mio cuore.
Una ‘comunicazione interiore’ che ho imparato ad ascoltare anche con le
pratiche di rilassamento e visualizzazione che fanno parte della mia
‘formazione’ da molti anni.
Quale cammino rituale è necessario percorrere per
arrivare alla purificazione dello spirito?
‘Purificazione’ … è un termine forte, con connotati
emotivi importanti per la nostra cultura. Fa pensare che quindi ci sia
qualcosa di ‘non puro’ nel nostro spirito, e facilmente si associa all’idea
del peccato. Questo è un concetto che non esiste presso la cultura Q’ero:
essi parlano di energia pesante, non raffinata, grezza; e di energia
luminosa, raffinata, vivificante. Si tratta di come scorre la forza vitale in
noi, come nell’ambiente intorno a noi. La vita consiste nella circolazione di
energie, di scambio continuo, di carica e di scarica: le pratiche andine
iniziano dalla capacità di far scorrere l’energia, nello scambio che
diversamente si può sentire con la terra, l’acqua, il vento, il sole. Vi sono
poi pratiche e rituali che ampliano lo scambio energetico-spirituale con
diversi spiriti naturali o cosmici, che rappresentano e simboleggiano diverse
qualità e ‘forme’ dello spirito: la Pachamama, spirito della
Terra-Madre, che ‘lavora’ con il corpo e con le emozioni; l’Apu,
collegamento tra Terra e Cielo, signore della mente e dello spirito; e così
per i vari elementi naturali, ma ci sono offerte rituali anche per lo spirito
creatore, per richiamare l’anima che si è perduta, per favorire la buona
comunicazione nella comunità; ad un livello ancora più raffinato si trovano
le cerimonie che ‘aprono’ le porte del sogno, che propiziano il risveglio del
nostro ‘lato destro’ e del ‘lato sinistro’ che peraltro esistono in diverse
dimensioni e livelli, simboleggiati anche da nobili denominazioni incaiche.
Anche la danza e i movimenti, come quelli del tai-chi, ti hanno
aiutato a trovare una complicità con la natura?
Il corpo è natura e la
vita è movimento. Sentire il corpo, l’armonia del
muoversi che è già un modo per essere vivi, per iniziare un dialogo con ciò
che è attorno, ‘fuori’ da me, ma in simbiosi con me. Viviamo immersi
nell’aria, ma non la sentiamo; se pensiamo di vivere come i pesci, immersi
nell’acqua, allora ci si fa chiaro il senso di essere immersi in un elemento,
che poi è vitale per noi! Allo stesso modo, siamo poco consapevoli,
sensibili, a tutte le infinite energie che ci attraversano e ci permettono di
vivere: ’influenza del sole, la luce e il calore, i raggi cosmici che
attraversano continuamente la terra, e anche ciò che sarebbe più alla nostra
portata, ma a cui non diamo più attenzione. Nella mia esperienza c’è lo yoga,
in parte il tai-chi e un po’ di qi gong, di cui
è più esperto mio marito, e dal quale apprendo l’armonia del corpo che si
muove imitando la natura, dialogando con l’energia, per “nutrire la vita”.
Apu, Waira, Munay, ayni, Pachamama:
il tuo libro è ricco di linguaggio
andino. Che significati racchiudono queste parole-chiave?
I termini con cui i Q’ero chiamano
elementi naturali, sentimenti, spiriti della terra o del cielo, sono carichi
della relazione appassionata che essi creano con il mondo. Ogni lingua
materna, dice Calvino, è paragonabile all’utero della propria madre e ogni
linguaggio esprime la visione complessiva, i valori, i sogni, di chi con essa
si esprime. Immergendomi nel mondo andino, nel paesaggio, nell’idealità e nel
cuore della cultura Q’ero, sento questi nomi come parte
integrante del significato che portano, il loro suono è messaggero
dell’intima essenza del loro significato. Diventano come i mantra delle
pratiche orientali, acquistano sacralità poiché indicano una relazione sacra
con la vita, in tutte le sue manifestazioni.
Colpiscono alcune coincidenze, come la pietra di
quarzo con sopra l’iniziale del tuo nome vicino a una waka, una roccia
sacra, oppure i tuoi sogni premonitori. Come li spieghi?
Non so proprio come spiegarli. C’è una componente di mistero che, in quanto tale, non si svela e ci ricorda che c’è sempre un limite oltre il quale non possiamo andare, e forse anche questo ci incita comunque a continuare a cercare. Sono coincidenze a cui noi diamo significato, Jung la chiama ‘sincronicità’ ed è, credo, frutto di una nostra ‘sintonizzazione’ quando abbiamo una domanda dentro, e cerchiamo una risposta, che a volte viene da fuori, da eventi occasionali che per noi diventano messaggi, hanno un senso in relazione a quanto stiamo elaborando, più o meno consapevolmente. Quando sensibilità e percezione sono più aperte, come parabole riceventi, è più facile cogliere queste coincidenze o incontrare qualcosa che in qualche modo si sta cercando. In questa luce potrei dire, allora, che forse stavo cercando una mia più ampia identità, e ho trovato la pietra con l’iniziale.
Nel libro possiamo vedere anche noi i Q’ero: hai scattato
tu le foto che troviamo tra le pagine?
Sì, ho voluto fissare in immagini preziose, per me,
i luoghi e i volti e i momenti di quel ‘sogno’ che ho vissuto, forse per
renderlo più concreto, testimoniarlo, riviverlo. Ho scattato le foto alle
cerimonie e ai maestri Q’ero con tutta la mia riverenza,
temendo fosse per loro poco rispettoso, come se la foto fosse un appropriarsi
dell’anima, carpire un tesoro sacro. La loro disponibilità però mi ha
confortato. Nei paesaggi è proprio la sacralità che ho voluto racchiudere in
un’immagine.
Nella seconda parte del libro parli di una ricerca
per risvegliare l’energia salka, di cosa si tratta?
Salka è un termine quechua che Don
Américo traduce come 'energia allo stato selvaggio.' È la nostra
dimensione libera, originaria, non-addomesticata, che sopravvive in noi anche
se abbiamo dovuto imparare ad essere ‘addomesticati’ e viviamo
prevalentemente in questa dimensione. Américo ci chiede “quanto siamo lupo e
quanto siamo cane” nel tempo della nostra vita quotidiana; quanto viviamo
come gatto e quanto come puma. Fa riferimento alla sana istintualità; si
esprime con la bellezza, la vitalità, la grazia, l’apertura a sentire
pienamente la vita. Salka è fiducia nella vita. Un senso di
fiducia basilare nella ‘bontà’ della vita. È una forza arcaica, semplice,
poetica, cosmica, presente in molte forme e dimensioni. Noi facilmente
associamo ‘selvaggio’ a qualcosa di violento, aggressivo, feroce o
distruttivo; al contrario qui si tratta di ciò che ci avvicina alla nostra
integrità, nel modo più semplice, naturale, umile. Américo afferma infatti
che: 'Nulla è più salka di un colibrì.”
Anche per il popolo Q’ero esistono
equilibri tra parti complementari, come lo yin e lo yang orientali.
Quali sono e quali caratteristiche hanno per la cultura andina?
La vita fluisce tra le polarità, nella danza degli
opposti che si armonizzano e delle differenze che si completano. Lo scambio
tra energie ‘pesanti’ e raffinate transitano tra il cielo e la terra; le
polarità tra il maschile e il femminile, la destra e la sinistra come
dimensioni dell’essere e qualità energetiche diverse; l’eccesso o il difetto
di energia nel sistema personale o nella relazione interpersonale sono esempi
di una visione similare a quella della cultura orientale. La ricerca di
equilibrio per l’armonizzazione è senz’altro una componente fondamentale del
percorso andino. Vi sono pratiche per lo scambio tra energie differenti o
simili (yanantin, masyntin) , per il complemento delle differenze (yanachacuy),
per mettere in miglior comunicazione aspetti complementari della persona.
Si parla anche di un esempio di sincretismo
religioso durante la celebrazione del Signore della Stella di Neve: ci sono
connessioni tra i culti andini e religione cristiana?
La dottrina cristiana, imposta con la Conquista nel
1500, ha potuto radicare presso i nativi poiché ha fornito elementi di
identificazione con la visione religiosa originaria. La Vergine Maria è
assimilata alla Pachamama, Cristo è un potente Apu, i
Santi e gli angeli sono le raffigurazioni di forze naturali diverse, ad
esempio S. Giacomo è Santiago delRayo, il fulmine. Ho assistito a
processioni religiose con il sacerdote in testa, la croce, i chierichetti e
la Madonna portata a spalla dai fedeli, con un seguito di personaggi in
costumi raffiguranti il sole, la luna, le alpacas. Il Cristo della cattedrale
di Cuzco è il “Signore dei terremoti”; la Madonna vi è raffigurata con ampie
vesti che riproducono la forma della montagna, orlata da un fiume che scorre.
Nei rituali e tra le preghiere dei maestri Q’ero compaiono
elementi del culto cristiano: alcuni invocano il Taita (padre)
Jesus Cristo, gli Apu hanno a volte nomi di santi, e questi compaiono
tra le figure simboliche che si pongono nelle offerte. Ma è certamente nella
figura di San Francesco che si può trovare una corrispondenza immediata con
il senso della sacralità della natura, pur riconoscendo i diversi presupposti
che l’animano.
Anna Rita, tu dici che il tuo libro è “la
storia di un messaggio sussurrato nel cuore delle montagne e portato dal
vento attraverso gli oceani, ovunque”. Da questa esperienza scaturisce anche
un ulteriore insegnamento sul senso del viaggio e del ritorno, qual è?
Nella conclusione del libro ho cercato appunto di
dare il senso di questa esperienza complessiva, del significato che mi ha
lasciato per la mia vita qui, in questo emisfero, e nella normale
quotidianità. Accedere e partecipare a una visione del mondo così alta e
insieme profonda, rende possibile ampliare l’orizzonte in cui la vita
s’inscrive: la mia sensazione dopo l’esperienza a Q’ero è
“la voglia di esistere con più libertà, con più amore” sentendo che queste
possibilità sono dentro di me, dipendono da una mia disposizione interiore,
prima di tutto. Allora, il confine tra il dentro e il fuori diviene più
permeabile, il confine tra me e l’altro diviene più percorribile. Meno
necessità di chiudere e difendersi; le cose ‘pesanti’ della vita feriscono di
meno, e comunque posso lasciarle andare e fare spazio alla bellezza che vive
attorno a me, concederle di rivelarsi nelle piccole cose, come nella
dimensione dell’infinito.
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domenica 23 novembre 2014
"Nel grembo delle Ande" - Intervista all'autrice
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